di Lorenzo Infantino (Il Sole 24 Ore, 21 marzo 2012)

Quando se ne pronunzia il nome, Friedrich A. von Hayek viene di solito associato, quasi in modo meccanico, a John M. Keynes. Il che è del tutto legittimo. Essi sono stati infatti i maggiori protagonisti degli “anni dell’alta teoria”, un periodo fervido di idee e di nuove acquisizioni. La disputa fra Hayek e Keynes ha riempito interi scaffali delle biblioteche; e continuerà a farlo. Ma intanto il tempo ha sedimentato molte vicende.

E ciò permette di dire che, se dal punto di vista politico o dell’immediatezza Keynes ha avuto il sopravvento, da un punto di vista culturale Hayek ha gettato luce su problemi che non possono essere cancellati, e con cui dobbiamo permanentemente fare i conti. Egli è stato colui che ha portato a completamento la teoria austriaca del ciclo economico, un corpus teorico che aveva consentito agli studiosi di ispirazione “austriaca” di prevedere il crollo del 1929 e che pone in evidenza le cause monetarie della crisi economica. È una teoria che può aiutarci a capire anche le ragioni della recessione che pesa sulle nostre spalle, e di cui non s’intravvede ancora il superamento. Essa spiega infatti che i danni provocati dall’alterazione del meccanismo allocativo non possono essere “assorbiti” nel breve periodo.

Hayek non può comunque essere “recluso” dentro la disputa con Keynes. Giunto a Londra con una ben chiara e articolata visione del processo economico-sociale, è fuoriuscito dal territorio economico in senso stretto e si è occupato di teoria della conoscenza, diritto, filosofia politica, psicologia teorica, storia delle idee. Il suo lascito intellettuale ha una straordinaria ampiezza e una perdurante fecondità. Oggi che abbiamo a disposizione l’intero quadro delle sue riflessioni, sappiamo che l’ago magnetico da lui utilizzato è quella concezione della società che affida la soluzione dei problemi della vita collettiva alla cooperazione volontaria. C’è qui alla base l’idea della dispersione della conoscenza: ogni individuo possiede conoscenze delle circostanze particolari di tempo e di luogo in cui si trova; e ciò gli garantisce un vantaggio su tutti gli altri.

Le conoscenze di tempo e di luogo sono infinite. E non possono essere centralizzate. Da cui consegue che nessuna autorità può sostituirsi ai singoli attori sociali. Anzi, il potere pubblico deve essere limitato, perché solamente così le conoscenze disperse possono essere mobilitate e tradursi in un grande procedimento di esplorazione dell’ignoto e di correzione degli errori.

Se così è, nessuno di noi può mai sapere in anticipo quale sarà il risultato della cooperazione volontaria. Le norme giuridiche garantiscono il co-adattamento delle azioni individuali, ma non ne dettano il contenuto. L’ordine che si afferma non è il prodotto della programmazione di alcuna mente. È un ordine “spontaneo”, inintenzionale. Tale è l’origine del linguaggio o di istituzioni quali la famiglia, la città, il diritto, il mercato.

Ma è anche il tipo di ordine realizzato dalla globalizzazione o quanto le informazioni scambiate per via telematica producono nella vita di oggi. Ciò significa che Hayek ci aiuta a capire la dinamica di un mondo aperto, in cui enormi e continui flussi di informazione mettono in contatto uomini fra loro sconosciuti, allargano l’area della cooperazione volontaria e ne moltiplicano il volume in termini assolutamente inimmaginabili trenta, cinquanta o cento anni fa.
Hayek è stato nel Novecento lo studioso che più ha insistito sulla nascita degli ordini spontanei. Com’è ovvio, la sua riflessione non è nata dal nulla. Egli ha contratto numerosi debiti con la propria tradizione, soprattutto con Carl Menger, fondatore della Scuola austriaca di economia e sua prima fonte di ispirazione.

E si è reso debitore nei confronti dei moralisti scozzesi (David Hume, Adam Smith, Adam Ferguson, John Millar). A lui si deve tuttavia la feconda coniugazione delle due tradizioni di ricerca. Il suo arrivo a Londra è stato pertanto un evento fortunato della sua biografia intellettuale. Ed è stato nello stesso tempo un evento fortunato nella storia delle scienze sociali. Non è senza ragione che la sua opera merita di essere rivisitata.